Pantheon a Roma
Il calcestruzzo dei Romani e il calcestruzzo moderno
I Romani avevano metodi di costruzione estremamente sofisticati e sostenibili. A differenza dei calcestruzzi moderni, composti solitamente cementi prodotti con materie estratte in cave e miscelate in acqua dolce, quello romano, come abbiamo visto, era costituito da calce – prodotta a temperature notevolmente più basse rispetto a quelle necessarie per ottenere il clinker moderno – e pozzolana, che proveniva da depositi piroclastici. Il tutto era impastato in acqua di mare.
L'aggregato era costituito invece da materiale locale, spesso di riuso, in un’ottica di circolarità ante litteram». Il processo, inoltre, seguiva un principio di ottimizzazione logistica: raccolta nell’area di Napoli, la pozzolana era poi trasportata via mare, con un sistema quindi a ridotta emissione di CO2. E una volta scaricato il materiale da costruzione, le navi tornavano in Italia cariche di prodotti locali.
Ancora oggi, e forse a maggior ragione in un’ottica di sostenibilità, produrre calcestruzzo di qualità, dalla elevata durabilità, è centrale: più le strutture sono resistenti nel tempo, meno bisogna intervenire. Italcementi da anni si muove in questa direzione. Ragioniamo da tempo in termini di circolarità: oltre a lavorare per ridurre il consumo di combustibili fossili e delle risorse idriche, da molti anni sostituiamo le materie prime con materiali di recupero, sviluppando prodotti che prevedono l’utilizzo di materie secondarie provenienti da processi industriali. Inoltre, ci impegniamo nel massimizzare l'impiego di materiali locali: Heidelberg Materials sta facendo imponenti investimenti in quest’ottica. In un certo senso, seguiamo la logica dei Romani: perseguiamo la qualità, valorizziamo ciò che abbiamo a disposizione, con una buona conoscenza tecnica e una buona pratica.
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